Io sono nata e cresciuta in Brianza, questo ormai lo sapete. Quello che forse qualcuno di voi non sa è dov’è la Brianza, ma soprattutto com’è. La Brianza si trova in Lombardia ed è un’area geografica senza confini politici e geografici realmente esistenti. Esiste infatti da qualche anno una provincia – la provincia di Monza e Brianza appunto – che in realtà non la racchiude neanche tutta. La Brianza però ha un’identità forte, ma solo nella mente dei brianzoli, per il resto d’Italia la Brianza non esiste, tutt’al più è qualcosa di vago tra Arcore e Monza.
Brianza casa mia – Il Parco del CuroneI brianzoli però si sentono “popolo” ed è un’appartenenza strana la loro, un misto di orgoglio e fastidio. Perché i brianzoli sono in effetti un po’ strani. Gran lavoratori dicono, ma anche molto cocciuti e diffidenti. Sono capaci di darti il cuore i brianzoli ma prima devi dimostrartene degno e guai a te se ti fai vedere diverso. I brianzoli osservano da lontano i milanesi e li prendono pure un po’ in giro, ma poi appena possono si comprano il macchinone e lo mostrano con orgoglio agli amici la domenica sera all’happy hour. I brianzoli amano la loro terra e le loro tradizioni, ma forse un po’ se ne vergognano anche. I brianzoli sono figli di contadini cresciuti a polenta, che un bel giorno si sono inventati la fabbrichetta e magari sono anche diventati ricchi e fighetti e ora si muovono confusi tra due identità, cercandone una nuova.
La mia BrianzaIo la amo la Brianza, come potrei non farlo? Ma forse ormai questa terra esiste più nella mia testa che nella realtà. La Brianza che amo io è quella delle lucciole che brillavano nel buio delle sere d’estate, quando si giocava a nascondino tutti insieme per strada e il calore del giorno ti rimaneva attaccato alla pelle fino a notte fonda. Quella della camomilla da raccogliere sui sentieri e dei papaveri rossi che facevano capolino nei campi di grano, la Brianza del frumento alto più di un uomo adulto, dove correre a nascondersi quando arrivava il contadino. La Brianza che amo io è quella delle gite in bicicletta fino a Madonna del Bosco, tutti insieme con l’Oratorio, che a pensarci adesso chi si fida più a mandare un centinaio di ragazzini sulle strade da soli? E infatti non le fanno più, vanno a Acquaworld in autobus.
La brianza, casa mia – Un bel portone di una vecchia cascinaLa mia Brianza è quella della nebbia, una nebbia talmente fitta che pareva si dovesse tagliare col coltello, una coltre grigia che ti avvolgeva attutendo ogni suono quando tornavi a casa la sera a piedi ma che diventava muro se affrontata in automobile, talmente impenetrabile da dover abbassare il finestrino e metter fuori la testa per vedere dove fosse la riga bianca del ciglio della strada. La mia Brianza è quella delle giostre il giorno della festa del paese e delle compagnie di ragazzi che si spostavano coi motorini per andarci. La Brianza delle caldarroste comprate calde davanti al cimitero il giorno di Ognissanti e delle passeggiate in mezzo ai boschi, del bar del paese dove ritrovarsi e della fila davanti all’unico cinema in attesa di entrare e delle cascine che parevano castelli.
La brianza, casa mia – Il laghetto di SartiranaOggi la Brianza che vedo intorno a me è diversa. E’ la Brianza dei centri commerciali e delle strade trafficate, delle Slot Machine e delle tante case, case che spesso rimangono vuote, in attesa che qualcuno le compri. La Brianza che vedo adesso è quella dei SUV – sì, sono arrivati anche in Brianza – con cui portare il bambino avanti e indietro tra scuola a casa, e meno male che qualche pensionato si è inventato il pedibus così ogni tanto questi bimbi hanno modo di correre. La Brianza che vedo intorno a me non ha quasi più campi, mangiati, uno dopo l’altro dal cemento, e ha chiuso anche i cinema, perché tanto si va tutti al Globo che così almeno i bambini si divertono.
La mia Brianza – Il santuario di MontevecchiaIo la amo la mia Brianza ma ogni tanto mi fa un po’ rabbia. Rabbia per quello che sta diventando, ma soprattutto per quello che si è persa per strada. Rabbia perché mi sembra che si sia dimenticata di se stessa e del suo passato, delle sue cascine e della sua terra. Rabbia per i capannoni vuoti e per quelli che gli vengono costruiti accanto, per la sua voglia di diventar “diversa”, non migliore, solo “altro”. Io me ne sto qui ad osservarla e a immaginare come sarà quando mio figlio sarà grande, ogni tanto parto, me ne vado via, per qualche giorno o per un po’ di tempo, poi ritorno e mi sforzo di cogliere i suoi cambiamenti, proprio come quando, da bambina, tornavo dalle vacanze estive e mi guardavo intorno per ritrovare la sensazione di essere davvero a casa.
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